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Il cloro è un elemento che aiuta la vita degli uomini (pensiamo al sale) ma è anche un elemento pericoloso e mortale.

Nel corso della Prima Guerra mondiale i gas asfissianti vennero impiegati per la prima volta come nuove armi di combattimento. La convenzione dell’Aja del 1899 ne impediva l’uso ma i vari Paesi non rispettarono quanto avevano siglato precedentemente. Il primo massiccio uso di agenti tossici si verificò in occasione della seconda battaglia di Ypres, del 22 aprile 1915, che vide contrapporsi le forze tedesche e quelle francesi. Con questa data si è soliti riconoscere convenzionalmente l’inizio della guerra chimica. 

 

Il CLORO fu il primo e il più semplice gas tossico sperimentato; aggrediva le vie respiratorie e causava un'immediata irritazione, provocando una sensazione di soffocamento in coloro che lo respiravano.

Questa sostanza venne ben presto sostituita dal fosgene, un gas altamente soffocante e maggiormente aggressivo, che generava velocemente nelle vittime un edema polmonare e la conseguente insufficienza respiratoria, e dall’yprite, chiamato anche “gas mostarda” per il suo odore simile alla senape, che colpiva direttamente la pelle creando vesciche su tutto il corpo.

 

Tra le tecniche di diffusione più comuni delle sostanze chimiche vi era l’utilizzo di munizioni (come bombe, proiettili, testate missilistiche) e l’impiego di aerei che lanciavano la sostanza volando a bassa quota.

Un’ulteriore tecnica consisteva nel rilasciare l'agente chimico nelle vicinanze del bersaglio aprendo semplicemente i contenitori di gas e aspettando che il vento lo disperdesse oltre le linee nemiche. Questo semplice metodo di dispersione presentava però diversi svantaggi: bastava, infatti, un’improvvisa inversione del vento per sospingere al mittente la sostanza tossica, con tutte le conseguenze immaginabili e, inoltre, le nuvole di gas erano facilmente percepibili dai nemici che avevano tutto il tempo per prendere le contromisure.

Per queste ragioni, nel corso del conflitto, il ricorso all’artiglieria fu la tecnica più utilizzata. L’attacco non era più strettamente dipendente dal vento favorevole; si aumentava il raggio d'azione secondo la portata dei cannoni; si poteva scegliere quali bersagli colpire e differenziare i gas utilizzati in una stessa azione a seconda dell’obiettivo scelto; i proiettili potevano diffondere l'agente chimico senza alcun preavviso per i nemici.

Per i fanti italiani il primo impatto diretto con i gas asfissianti avvenne il 29 giugno 1916, quando subirono un agguato al fosgene da parte delle truppe austroungariche sul Monte San Michele. In questa occasione le bombole di gas non furono lanciate, ma vennero aperte, creando una nube tossica che venne poi sospinta dal vento; l’attacco provocò oltre 2500 morti tra le file italiane e un numero elevato di intossicati.

Gli eserciti delle varie potenze vennero pian piano riforniti di rudimentali maschere antigas che si resero sempre più necessarie con il passare dei mesi. Nei primi tempi, per il fatto che non si conosceva con esattezza la composizione chimica delle sostanze utilizzate, molte maschere non funzionavano in modo efficace. Per questo motivo molti soldati furono istruiti, in caso di mancanza di maschere durante un attacco chimico, a difendersi dai gas mettendo un pezzo di pane bagnato in bocca e coprendo il viso con un fazzoletto.

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